Less is more vs less is bored
Less is more! Il celebre motto di Mies Van der Rohe ha fatto scuola per più di un secolo, spingendo designer, architetti, stilisti ad allontanarsi dalla complicazione estetica per ricercare una semplificazione della forma, assai più complessa da raggiungere.
E così, da oltre un secolo, i nostri occhi prediligono quasi sempre le linee pulite, il bianco e il nero, l’esile e il puro e il nostro gusto, abituato all’horror vacui dei grandi maestri, si è naturalmente modificato. In questo processo evolutivo è chiaro come il design, al pari dell’arte, abbia avuto ed ha tutt’ora una funzione sociale, raccontandoci, in questo caso, come la forma non sia il fine ultimo, bensì la risposta ad un bisogno; la forma è sostanza, dunque, non semplice apparenza.
Nel panorama del design contemporaneo c’è un giovane che sembra aver colto le istanze di Van Der Rohe, Berhens, Gropius reinterpretandole con un disegno lieve e allo stesso tempo ben definito: Gustavo Martini.
Trentenne, brasiliano di origine, milanese per necessità Martini riesce a descrivere attraverso linee, pieni e vuoti la sua ricerca sull’equilibrio. Questo suo percorso nasce nei luoghi della sua infanzia, a ridosso delle piantagioni tropicali sull’oceano Atlantico, a Rio de Janeiro. Città caratterizzata da due mondi opposti, quello della metropoli e delle sue architetture imponenti e quello della natura, vigorosa e incontaminata, come la foresta pluviale.
La ricerca dell’equilibrio diventa per lui il trait d’union tra naturale e artificiale, tra Italia e Brasile, tra bianco e nero, tra mobile e statico. Il giovane designer porta nei suoi occhi e nella sua mente questo tema del doppio e lo risolve con la creazione di forme e l’utilizzo di materiali che talvolta creano un ponte tra questi mondi antitetici, altre volte si rifugiano nell’uno o nell’altro aspetto.
Spesso si tende a differenziare l’arte dal design, ma se si va un po’ a fondo ci si accorge come, un certo tipo di design venga concepito e realizzato esattamente allo stesso modo di un opera d’arte. Gustavo sostiene che la ricerca dell’equilibrio sia una costante delle essere umano e su questo pensiero costruisce i suoi lavori, che sembrano muoversi leggermente per cercare di raggiungere un punto fermo, statico, l’equilibrio appunto. Crea forti contrasti tra geometrie precise e superfici irregolari, tra pieni e vuoti, tra luci e ombre per rafforzare, attraverso il gioco degli opposti, la tensione verso un punto comune. Sembra una storia d’amore il suo modo di progettare, in cui il designer e la sua matita vivono in un costante rapporto di amore e odio, di vicinanza e allontanamento, ma solo nei momenti di perfetto equilibrio può nascere l’opera.
Forse allora la caratteristica di questo momento storico, rispetto al bahuaus o al minimalismo, è una componente romantica che ci permette di riempire di emozione una forma o di dare un significato ad un colore. Sembra un gioco stupido e poco scientifico, ma il bello serve al nostro animo, più che alla nostra mente.